Il mal di testa
mi svegliò in tarda mattinata. Afferrai la coperta per scostarla, ma subito
avvertii una strana sensazione; sembrava sgretolarsi fra le mie mani, scivolare
come aria. Aprii gli occhi all'istante e mi accorsi di essere completamente
rivestita di cenere, che aveva sostituito le lenzuola, la coperta, il cuscino;
improvvisamente nella mia camera vedevo svolazzare nuvole grigiastre, che si
mischiavano con la polvere.
Seppur
sbalordita, decisi di incolpare il mal di testa di quella strana visione e mi
alzai. Una volta davanti allo specchio ebbi un'altra sorpresa: migliaia di
volti si rilfessero sulla superficie, volti magri, infantili, smunti, anziani,
alcuni irriconoscibili, ognuno accatastato sull'altro, fino a ricoprire la mia
immagine.
L'angoscia
crebbe, mi scaraventai fuori dal bagno alla ricerca di conforto, che non
trovai; mi misi le mani nei capelli, e mi accorsi di non averli più, o meglio
di averli cortissimi, e li vidi giacere in terra, sotto i piedi; così toccai freneticamente ogni parte
del corpo, ma non avevo più sensibilità, le mani erano scheletriche, e
tastavano ovunque, affamate di aiuto.
Ero investita di
sensazioni mai provate prima, che mi avevano afferrato e usato come vittima di
sfogo di quell'orrore. Ricercai lo specchio per avere una prova di quella
trasformazione. Vi ero nuovamente davanti, ma non mi trovai; vidi sempre
migliaia di volti, ma tutti uguali, indistinguibili l'uno dall'altro, dai
capelli corti allo sguardo fisso e vacuo, e dagli occhi gonfi di lacrime e
terrore agli zigomi scavati nelle
guance. Solo una cosa distingueva ogni individuo da quella massa: se osservavi
con attenzione, potevi notare un particolare simile ma differente in ognuno, un
numero nero inflitto nella pelle del braccio, che si cercava di nascondere
dietro la schiena.
Ormai era buio, ero in piedi accanto alla tavola sulla quale dormivamo in
sei. Nessuno parlava mai, né di sera, né di giorno, durante il lavoro;
nessun'anima voleva raccontare qualcosa, ricordare la vita precedente, o
sperare in una futura, o lamentarsi del dolore, della perdita dei cari. Eravamo
tutti là, sì, sulla stessa barca, o sulla stessa tavola di legno, a dormire una
notte insignificante, a dimenticare la nostra identità lasciata sotto le
lenzuola il giorno in cui ci hanno strappato dai colori e dai sapori della vita
mondana.
Il silenzio era il nostro solo compagno.
Improvvisamente i cani abbaiarono, tanto che tutti pensammo fosse un altro
disgraziato che tentava la fuga; ma fu troppo lungo l'abbaiare, ed insistente,
ed incalzante, che ci sorse un dubbio, una piccola e amara incertezza di
cambiamento. Sentimmo rumori vari, proventienti da tutte le direzioni, fragori confusi, voci e urla contrastanti...
Finché noi tutti, tutti insieme, avvertimmo chiara la lingua straniera, quella
d'oltre oceano.
Non posso ricordare le emozioni che mi attraversarono in quel momento,
lacerandomi per l'ennesima volta, ma sono sicura della fierezza che mi pervase
quando oltrepassai ciò che avevo sempre visto chiuso, lo sapevo alle spalle, né
mi girai a guardarlo, quel posto, quell'inferno in cui mi cacciarono l'anima.
Camminai fianco a fianco quegli zombie che ad ogni passo risvegliavano la
propria identità sopita, ed il vento ci accarezzava la pelle mentre si
divertiva a sollevare polvere intorno a noi; riuscii adesso a notare
distintamete i tratti di ognuno, l'espressione ed il sorriso, o lo sguardo
vivo, compreso il mio. Fui capace di ritrovare la mia immagine mentre le altre
tramontavano una ad una, e mi sentii finalmente libera e consolata. Andando in
camera mi accorsi di quanto ero fortunata: ritrovai quell'oggi, sotto le
lenzuola, l'anima della prigioniera, mentre il grigio della cenere veniva
soffiato fuori dalla finestra dal vento.
giovedì 24 gennaio 2013
Oggi, 27 Gennaio
Esther Bondì
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